Il linguaggio della politica, l’8 marzo ed il rispetto per gli altri

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Un anno fa venivo proclamata deputato della Repubblica Italiana. Non ho prestato alcun giuramento ufficiale perché il nostro ordinamento non lo prevede, ma ho promesso a me stessa che avrei onorato questo ruolo e, se possibile, restituito ad esso quel valore positivo e autorevole che nel tempo è andato smarrendosi impostando il mio mandato su alcuni valori che considero imprescindibili: umiltà, trasparenza, lealtà, libertà.

Questa è una settimana importante anche perché il Reddito di Cittadinanza è diventato realtà, inizia una rivoluzione che dal mio punto di vista è doppiamente importante. Può essere il primo passo per riportare un po’ di equilibrio sociale nel Paese, e lo sarà ancora di più se, noi che oggi rappresentiamo la classe politica, saremo capaci di accompagnare questo provvedimento con un’altra rivoluzione: quella del linguaggio, della comunicazione, dell’approccio culturale ai problemi.

Proprio per questo, c’è qualcosa che mi ha dato molto da riflettere in questi primi dodici mesi, ed è il linguaggio che in politica, in particolare sui social, viene frequentemente utilizzato per commentare i punti di vista, i post, di chi ha un’idea differente. E’ un linguaggio troppo spesso arrabbiato e offensivo che non porta contenuti ma giunge subito a sentenze di condanna e crea tifoserie. C’è un noi contro loro ma non si capisce mai chi siano “noi” e chi “loro”. Tutti contro tutti e alla fine si rimane più soli e arrabbiati di prima. Si viene classificati a seconda delle fazioni, ma non si prova mai a ragionare sui temi e le loro sfumature, si sente solo l’esigenza di fustigare qualcuno.

La responsabilità della faziosità nel discutere i temi è in gran parte della classe politica che, invece di dare il buon esempio, spesso accentua lo scontro piuttosto che comprendere come il Paese necessiti di toni più equilibrati, di confronto costruttivo e non la demolizione, ad ogni costo,  degli avversari. Per questo non tollero che la politica si esprima in chiave conflittuale, soprattutto quando rappresenta le istituzioni. Un ministro, dal mio punto di vista, al pari di un parlamentare, non può e non dovrebbe mai offendere nessuno, e non dovrebbe certo fare da cassa di risonanza a espressioni come cartelli e post offensivi, qualunque sia l’idea che essi sponsorizzino, perché il rischio è di strumentalizzare, come di fatto accade, riducendo tutto a propaganda e aizzando il proprio elettorato contro chi rappresenta un’idea diversa. E mi domando se, chi commenta sotto quei post, abbia chiaro che nell’offendere un altro cittadino manca di rispetto anche a se stesso.

Come parlamentare avverto anche l’onere di arginare ogni tipo di deriva che inquini lo spirito di confronto del Paese, un compito diventato di giorno in giorno più gravoso perché le persone sono arrabbiate e pensano che individuare il nemico in un individuo diverso o più fragile risolva i loro problemi. Personalmente ritengo, al contrario, che dire “prima gli italiani” non risolverà il problema della povertà o della disoccupazione, dire “prima il Nord” non significherà migliorare l’economica italiana. Essere divisivi e dividerci in categorie non aiuterà la politica a responsabilizzarsi e a impegnarsi seriamente per risolvere le criticità.

Domani sarà solennizzata la Festa della donna e, come al solito, si spenderanno commenti e post sui social nel celebrare le donne che lavorano, che sono madri e mogli facendo grandi sacrifici, le donne che si sono battute per i nostri diritti civili e le nostre libertà fondamentali, quelle che subiscono violenza e vivono nella paura. Tutto giusto, per carità, sono anche io, orgogliosamente, una donna anche se talune manifestazioni ne sviliscono il significato. Certo, peggio di certa retorica sull’8 marzo, ha fatto la Lega di Crotone che, con quel “manifesto” shock su cosa voglia dire rispettare le donne, ha espresso quanto di più retrogrado poteva essere concepito su diversi ambiti e rabbrividisco nel pensare che ancora oggi ci siano persone che vogliono relegarle ad un ruolo marginale nella società, di sottomissione a “regole” che mancano di rispetto al diritto di autodeterminazione che ciascun individuo possiede.  Mi piacerebbe, però, proprio per questo, anzi, ancor di più per le ragioni poc’anzi esposte, che in questo Paese, a prescindere dal sesso, dalla razza e dalla religione si iniziasse a celebrare ogni giorno il rispetto per l’essere umano in quanto tale adottando tutti, i cittadini e chi li rappresenta, un linguaggio ed un avvicinamento differente alle problematiche ed alle questioni, che non identifichi l’altro come un nemico ma come una risorsa. Anche se non siamo per niente in accordo.