La cultura che verrà, guardando al passato e immaginando il futuro

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Tratto da Infonight  – 11/04/2020

Sono lunghe settimane di attesa, di lavoro da remoto, di preoccupazione per i nostri concittadini impegnati nella lotta al coronavirus: un nemico silenzioso, che non possiamo vedere, ma che, purtroppo, abbiamo imparato a conoscere. Settimane di ansia e di dolore per chi ci ha lasciato.
In questa quarantena, dove tutto sembra sospeso mentre fuori la primavera avanza, cerchiamo anche di ritagliare momenti di riposo, di svago, di riflessione. La lettura di un libro, la visione di un film o di uno spettacolo teatrale ci aiutano a difenderci dall’estraniamento.
Eppure, alla fine, i nostri pensieri corrono sempre lì. Al nostro presente e al nostro futuro. Alle pieghe del momento forse più buio della nostra storia repubblicana e di maggiore stress per il nostro sistema sanitario, alla drammatica situazione di crisi economica. Un frangente in cui, nonostante tutto, migliaia di persone continuano a fare il proprio dovere: donne e uomini servitori dello Stato, lavoratori privati e pubblici in prima linea per assicurarci i servizi essenziali, la galassia del volontariato. A tutti loro va il mio pensiero e la mia devozione: vi siamo debitori e per quello che fate non vi ringrazieremo mai abbastanza.
Accanto a queste persone straordinarie, c’è tutta una dimensione creativa che non si è affatto arresa a quel senso di smarrimento provato da quando è stato dichiarato il lockdown. Decine di operatori culturali, attori, produttori cinematografici, organizzatori di festival si sono messi in gioco attivando quella che sta diventano la più grande maratona culturale di tutti i tempi. I social, le piattaforme streaming, la tv si popolano di una commovente e immensa offerta culturale che coinvolge e attiva il protagonismo di ogni singolo spettatore. Anche a loro non può che andare il mio grazie per aver messo in campo cuore e anima di questo Paese.
L’emergenza diventa così l’opportunità di diffondere sui canali digitali contenuti che abbiano un’anima e un senso, il web si popola di poesia, di danza e teatro, di viaggi virtuali attraverso le meraviglie culturali italiane: parchi archeologici, musei, biblioteche, gallerie d’arte. Improvvisamente siamo stati investiti da un’ondata di bellezza, fruibile solo con un click, accessibile da chiunque e in qualunque luogo, aprendoci una finestra sul nostro Paese per prepararci a quello che potrebbe essere dopo che avremo superato questa crisi.
Complicato immaginare il mondo post coronavirus, ma dobbiamo farlo e iniziare a pensare che probabilmente non sarà facile uscire di casa e aver voglia di frequentare luoghi affollati, probabilmente dovremo abituarci a mantenere le distanze per un po’, riacquistando pian piano la capacità di stare insieme. Chissà quante e quali emozioni proveremo quando saremo fuori dal pericolo, quando respirare l’aria non sarà più un’azione filtrata da una mascherina. Forse avremo ancora paura, forse proveremo ansia, forse saremo talmente felici che ci lasceremo andare.
Dobbiamo prepararci per quel momento, immaginare la “ricostruzione”, e dobbiamo farlo pensando a chi siamo, alla nostra identità e alla sua immensa eredità storica e culturale, a quello che abbiamo insegnato ai popoli incontrati sul nostro cammino, a come convogliare tutto questo su strade digitali.
Dovremo ricordarci delle nostre defaillance ed avere un piano, anzi costruirlo insieme, per fare meglio, per non lasciare nessuno indietro.
Se c’è un riferimento intorno al quale possiamo ricostruire la fiducia come comunità, quel riferimento risiede nella nostra memoria come popolo, un dna che si conserva da secoli attraverso il patrimonio archeologico, artistico, architettonico, letterario, filosofico, scientifico e che fluisce lungo un sistema nervoso formato da migliaia di piccoli paesini, villaggi e borghi che custodiscono le nostre identità e con esse anche le chiavi del nostro futuro.
Se saremo capaci di tenere stretto a noi il meglio di ciò che siamo, sono convinta che non sarà difficile rinascere più forti come persone, come Paese e come una comunità responsabile e solidale.
Potremo costruire un’Italia più giusta, capace di prendersi cura delle persone più fragili perché, se c’è una lezione da imparare su tutte, è che il welfare non può essere una condizione per pochi. Potremo, e dovremo, pensare a come le tecnologie siano in grado di migliorare concretamente il nostro modo di lavorare, di studiare e apprendere, di conoscere e viaggiare.
Ma, il nodo cruciale, sarà non avere paura di osare per creare nuove opportunità che diano a tutti l’accesso ad una qualità migliore della vita. Non avere paura di innovare, di prenderci cura di ciò che abbiamo pur condividendolo con il resto dell’umanità.
Le società che ne verranno fuori non potranno fare a meno di infrastrutture tecnologiche e digitali, rese a tutti accessibili, che avranno necessità di regole, procedure e progetti snelli su cui continuare a investire risorse. Saranno società che avranno bisogno di interpreti dei cambiamenti giunti con l’innovazione.
Perché di una sola cosa dovremo avere timore: rimanere quelli che eravamo, quelli che non hanno imparato dalle proprie debolezze a tracciare il sentiero del proprio domani.