Fino a qualche anno fa, mettere assieme parole come “beni culturali” e “innovazione tecnologica” sembrava un azzardo, un salto verso un futuro affascinante e ineluttabile ma ancora lontano. Il mondo della cultura ha guardato a lungo con distacco e diffidenza alla rivoluzione digitale che ha segnato gli ultimi decenni, all’apporto che la tecnologia avrebbe potuto dare in termini di migliore tutela del patrimonio e di maggiore accesso ai contenuti culturali.
Da un po’ di tempo le cose sono cambiate, si è colta l’importanza di digitalizzare, si sono avviati i primi processi in questa direzione, sia pure in un quadro inizialmente frammentato e poco omogeno, e con il primo governo Conte è stata istituita, per la prima volta, una delega specifica alla digitalizzazione del patrimonio culturale. Poi lo scorso anno la pandemia da Covid ha rappresentato il punto di svolta: con i musei, i teatri, i cinema chiusi, il digitale è diventata non solo una grande opportunità ma una stringente necessità: per i luoghi della cultura, per chi offre contenuti culturali di qualsiasi genere, ma anche per il pubblico affamato di cultura e di arte, spostarsi sulla rete, accrescere la presenza sul digitale, è stato infatti l’unico modo per esserci ancora.
Si sono così aperti nuovi spazi, sono aumentate le attività sui social media, si sono generate una nuova offerta e una nuova domanda, si è creata anche una più stretta connessione tra il mondo della cultura e un pubblico, quello più giovane, che in passato era spesso poco interessato alla classica proposta culturale. Questo perché la tecnologia ha permesso di generare contenuti più attrattivi e più interattivi, personalizzabili, capaci di creare engagement, più in linea dunque con i gusti dei ragazzi.
Basti pensare alla svolta impressa dalla realtà aumentata e dalla realtà virtuale, che hanno reso possibile esplorare grazie a speciali visori ambienti e luoghi del passato, anche perduti, con esperienze immersive a 360 gradi, in spazi animati. Significativa è stata anche la crescita del cosiddetto gaming culturale. L’industria dei videogiochi ha trovato in musei, gallerie, siti archeologici una miniera preziosissima cui attingere spunti per nuovi prodotti, che si sono rivelati eccellenti strumenti di promozione e di valorizzazione di contenuti culturali, che hanno connesso i giovani (e non solo) al mondo della cultura.
Ora la sfida è accelerare su questa strada, insistendo sul binomio digitale-giovani, puntando sulla formazione, per integrare sempre di più le nuove tecnologie con l’attività di tipo culturale, per creare nuove opportunità di impresa e di lavoro, e quindi di crescita e di sviluppo. Opportunità strettamente legate alle comunità e ai territori, perché i beni culturali non sono delocalizzabili: si può trasferire all’estero una fabbrica, ma non si può spostare un monumento o quel patrimonio immateriale fatto di tradizioni, identità, conoscenze.
In questo processo, il protagonismo delle nuove generazioni rappresenta un punto centrale: i giovani sono la chiave per digitalizzare il nostro patrimonio culturale, per creare un linguaggio accessibile a tutti sulla cultura, per rivoluzionare anche la visione stessa che il nostro Paese deve avere delle politiche culturali nei prossimi anni. Abbiamo bisogno di guardare lontano con coraggio, creatività, visionarietà, senso di responsabilità, abbiamo bisogno di nuove competenze per governare la rivoluzione digitale, abbiamo bisogno di forme di narrazione innovative per raccontare meglio e a un pubblico più vasto l’enorme ricchezza che l’Italia custodisce.
Per tutto questo, dobbiamo saper dare spazio ai nostri giovani: solo se saremo in grado di educare alla bellezza, se sapremo generare un senso di responsabilità comune sull’importanza di prendersi cura del patrimonio culturale e dei territori, e se sapremo farlo costruendo un proficuo dialogo intergenerazionale, potremo rendere l’Italia ancor più leader nel mondo in una logica di sviluppo sociale, economico e culturale innovativa, sostenibile ed equilibrata.