L’idea condivisa di rigenerazione urbana, l’esempio olandese

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Qualche tempo addietro ho avuto modo di seguire l’interessante appuntamento riguardante il report sul “Festival dello sviluppo sostenibile” promosso da Asvis, rete di istituzioni fra le cui mission c’è la realizzazione dell’Agenda 2030 Onu sullo sviluppo sostenibile, tenutosi alla Camera dei deputati. Tante le tematiche trattate e fortissimo il coinvolgimento sul territorio nazionale con 700 eventi organizzati lungo lo Stivale. Ancora una volta, però, l’Italia risulta indietro su tutta la linea. E, purtroppo, non faccio fatica a crederlo perché mi è sufficiente confrontare la realtà che vivo in Calabria, nella mia città e nel mio quartiere, con realtà di alcuni Paesi europei che invece ho avuto modo di conoscere per motivi di lavoro.

Un esempio su tutti è quanto ho visto in Olanda, nella città di s’Hertoghenbosh, dove sono stata per conoscere alcuni progetti di rigenerazione urbana. Riguarda la vicenda di una fabbrica di mangimi per animali nata a ridosso di una delle periferie della città (che poi, anche qui, la stessa “periferia” assume tutto un altro significato!) e che l’amministrazione comunale locale ha deciso di acquistare in seguito alle segnalazioni dei residenti della zona circostante, infastiditi dalle esalazioni non proprio salubri che l’impianto emetteva.

Il Comune di s’Hertoghenbosh ha dunque acquistato la fabbrica e deciso di metterla a disposizione dei cittadini affinché quello spazio industriale dismesso, attraverso la creatività che nasce dall’intelligenza collettiva, venisse ridisegnato secondo le esigenze e le visioni della comunità. Lo spazio viene così assegnato a due donne imprenditrici, una nel settore del design e l’altra della cultura, che propongono un progetto decennale nel quale la comunità viene coinvolta costantemente per ripensare e progettare ogni angolo della struttura industriale. Trascorsi  due anni, alcuni spazi sono diventati un laboratorio di design per l’inclusione nel lavoro di persone svantaggiate, è nato un festival di Street art per trasformare in arte i silos della fabbrica e un ristorante bio che valorizza i prodotti locali. Tanti progetti ancora sono in via di sviluppo.

Facile individuare nell’esperienza citata le dissonanze rispetto a quello che accade in Calabria (soprattutto) e in Italia. Tuttavia, quello che mi interessa maggiormente è sottolineare il processo che ha portato al cambiamento di approccio: una comunità che segnala un problema all’istituzione, un Comune che ascolta e non si trincera dietro una propria idea di sviluppo ma decide di avviare un percorso di condivisione di quella idea di sviluppo. Un’impresa che inquina diventa una nuova forma di impresa sociale più sostenibile, una comunità diventa protagonista e partecipa alla costruzione del proprio futuro.

In questa storia risiede il senso dello sviluppo sostenibile verso il quale il nostro Paese dovrebbe correre.

Il tema degli spazi abbandonati, delle aree industriali dismesse e dei beni comuni in generale è per me un tema caro: ho costruito su queste tematiche il mio lavoro da project manager per lo sviluppo locale e da imprenditrice nell’innovazione digitale. Su questo tema in particolare vorrei incentrare il mio impegno per la Calabria e per il Paese. Ad oggi, in Calabria, non sono ancora riuscita ad ottenere una ricognizione degli spazi abbandonati e delle aree/fabbriche dismesse e per questo vorrei lanciare la proposta a tutti i calabresi di segnalarmi questi spazi proponendomi le loro idee per ripensarli e trasformarli in nuove e migliori occasioni di sviluppo sostenibile. Mi rendo conto che tanti di questi luoghi hanno grossi problemi ambientali insoluti di cui dobbiamo, insieme, farcene carico portandoli all’attenzione dei tavoli sui quali si possono attivare le soluzioni. E’ altrettanto importante, però, essere pronti anche a lanciare proposte concrete di riuso di questi spazi che da luoghi altamente inquinati e deturpati possano trasformarsi in una grande risorsa economica e di rilancio sociale e culturale dell’intero Paese.

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